domenica 22 marzo 2009

La libertà di chi ritorna sempre a casa

Sono una persona maledettamente concreta. Una di quelle credono solo a quello che vedono i loro occhi. Non me ne frega niente di tutte quelle stronzate sull'aldilà, gli angeli, la fortuna, i gatti neri. il 17. I sogni poi...? quante cavolate. Però tempo fa ho sognato che moriva Bobi. E oggi ho scoperto che è successo davvero. Ebbene si, un cane. Ma non un cane qualunque, a dispetto del nome. E non dico perchè era il mio cane (non ne ho mai avuti). Lui non era mio, non era di mia zia, non era della vecchietta che lo riempiva degli avanzi del pranzo in cambio di un po' di compagnia. Non era di nessuno. No, non era neanche un randagio. Non aveva un "padrone" nel senso comune, niente guinzagli al suo percorso, ma solo qualcuno che gli dava da mangiare e da dormire e lo amava perchè era impossibile non farlo (entrambe le cose). Era semplicemente libero, più libero di qualcunque essere umano che popolasse il paesello dove ho sempre strapassato le mie estati da bambina e sorvolato quando sono diventata più grande. Ma non è l'estrema egoista libertà del gatto, la sua. E' la libertà di chi passava le notti sul mio poggiolo per salutarmi l'indomani mattina quando uscivo di casa con la mia nuova (ennesima) sbucciatura sul ginocchio. La libertà e l'intelligenza di chi veniva a salutarmi quando vedeva per la prima volta le persiane che lasciavano entrare la luce nella mia casetta, ai primi d'Agosto. Ci sono cresciuta con te, ogni volta eri sempre più grosso e più sporco, ma mi ci rotolavo lo stesso con te, anche quando ho iniziato a truccarmi e pettinarmi un po' di più i capelli (magari non rotolavo proprio, vabbè). E ti venivo a cercare sulle scale da mia zia, a combinare casini su e giù per i prati. Preferivo te a tanti bambini che sfoggiavano in piazzetta vestiti da principi, e indietreggiavano schifati se ti azzardavi a leccarli. Me lo ricordo ancora adesso come si girava in quelle due stradine ad inventarsi cosa fare, sempre noi 4. Dio, quanto mi manca correre fino ad avere male alla milza e il fiato in gola scappando per non farsi sgridare dal vecchietto di turno per aver combinato qualcosa nell'orto. E negare il tutto la sera stessa. Eri di tutti e di nessuno, ma io lo so che se dovevi scegliere con chi andare, venivi con me, avevamo persino il colore dei capelli uguale. E' spiazzantemente vero, osservare come si assomiglino cane e padrone (anche se non è questo il caso). E quando piangevo per qualcosa, come cavolo facevi a capirlo e mi guardavi così? Forse ero solo che guardavo il mondo con lo sguardo magico di una bambina, ma non sono mai stata prodiga nel dare fiducia a nessuno, e ti ho sicuramente guardato così, la scorsa estate, 2008.
Mi mancherai ogni volta che la mia strada mi riporterà al paese, e sentirò l'odore della mia campagna.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ti ha preso anche a te, allora, questo vizio dello "strapassare"!

Comunque, leggendo quello che hai scritto, mi è venuta in mente una parte di una canzone di De Andrè: "Potevo chiedervi come si chiama il vostro cane.. il mio è un po' di tempo che si chiama Libero."
E' una cosa stupida, lo so.. ma è la prima cosa che mi è venuta in mente. (è chiaro che sto tentando di non pensare)

Amaranto ha detto...

Te l'ho palesemente rubato (e senza pagare alcun diritto di copyright). :o)
Amico fragile vero? Beh, ripensandoci come nome era anche più adatto.